All'origine della crisi di Icesave c'è il collasso di questo sistema bancario, che era fortemente indebitato a breve termine e che - dopo diversi episodi di difficoltà - non è riuscito nel 2008 a rinnovare i finanziamenti a causa della crisi finanziaria. Sono subito emerse, oltre alle responsabilità del management delle banche che aveva seguito rapide strategie di espansione all'estero senza costruire basi solide, le colpe della Banca centrale, la Sedlabanki, guidata nella fase più difficile proprio dall'ex premier David Oddsson: era persino ignara della necessità di accumulare riserve in valuta almeno pari ai debiti a breve termine del paese.
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UN REFERENDUM PER IL DEFAULT DI URIEL Le ridicole vicende greche hanno fatto distogliere l'attenzione su quanto accaduto in un altro paese, che e' l'Islanda. Come ricorderete, l' Islanda aveva scommesso molto sulla finanza di carta e al botto del credit crunch si era trovata sovraesposta e i cittadini pieni di debiti. Ma non solo: una delle loro banche , che di fatto pesa sul governo, era esposta finanziariamente in maniera enorme. Quello che e' successo e' che inglesi e olandesi , ovvero i loro finanzieri, si sono presentati a battere cassa, pretendendo che dopo aver causato i disastri che ben conosciamo gli islandesi li finanziassero anche , come se il disastro fosse stato un'operazione in attivo. Il primo ministro del luogo a quanto pare si e' rifiutato di sbattere sul lastrico la popolazione islandese, e ha convocato un referendum, che ha vinto con percentuali bulgare. In pratica, l'Islanda ha dichiarato default, e lo ha fatto con uno strumento democratico, che e' il referendum. Questo atto probabilmente li portera' fuori dall' FMI (beati loro) e potrebbe , come dice l'articolo, creare dei problemi al loro accesso nella UE. Ma non e' qui il punto: il punto e' che a loro e' accaduto quanto accadde al Dubai. Non appena il governo dichiara default, i finanzieri si precipitano a trattare, e si accordano per una restituzione molto limitata dei soldi. Cosa significa? Se lo facessimo in italia, cosa che auspico da sempre, e annunciassimo che il governo NON paghera' il debito pubblico, non succederebbe quanto accaduto in Argentina (ove la crisi che e' seguita e' stata dovuta ad ALTRI fattori e il default e' stato semmai una conseguenza) , succederebbe esattamente la stessa cosa: i contraenti del debito si presenterebbero a roma a cercare un accordo , e probabilmente ci troveremmo a restituire si e no il 20% dei soldi, solo avendo un governo che faccia la voce dura, o che non abbia scelta (Solo il 13% e' allocato ai cittadini. Il resto sono banche. Piu' del 50% e' all'estero). Lo strumento del referendum, in effetti, e' micidiale. Il debito pubblico in se', non essendo materia fiscale, non e' compreso nella norma costituzionale che vieta referendum sulla politica fiscale. Cosi' , e' possibile anche in Italia organizzare un referendum che proponga al governo di NON pagare il debito pubblico. Una volta fatto il referendum, comunque lo gestisca il governo, il debito pubblico e' esaurito. Faccio presente che una volta fatto il referendum, non ci sarebbe bisogno di aspettare le sue conseguenze, perche' il rischio sara' cosi' alto che gli investitori abbandonerebbero in massa i titoli di stato, o comprerebbero quantita' enormi di CDS, ammesso che qualcuno glieli venda ad un prezzo decente , cosa che non e'. Cosi', e' possibile portare il paese al default in maniera democratica. Occorre che qualcuno, lavorando con un basso profilo, costituisca un comitato per il referendum contro il debito. Diciamo un referendum che, di punto in bianco, ridimensioni il deficit al 20% del suo valore attuale. Questo deve essere fatto in sordina, quasi per passaparola, senza troppa pubblicita' sui giornali, solo coi banchetti per le strade. In caso arrivi un giornalista, si fugge o si risponde "no comment". Poi si presenta il referendum alla consulta, e si aspetta che venga dichiarato attuabile. Una volta che la notizia finisca sui giornali, DI FATTO il referendum avrebbe aumentato il rischio cosi' tanto che tutti molleranno l'osso e si precipiteranno a trattare. Cioe', il default e' dichiarato nel momento stesso nel quale e' ufficiale che potresti anche farlo; l'esito referendario e' quasi irrilevante. La cosa sulla quale vorrei essere chiaro e' che non-succede-nulla. Come nel caso greco, come nel caso di Dubai, come nel caso islandese, a quel punto iniziano trattative su come gestire la cosa. Sapete perche'? Perche' di fatto la finanza e' considerata molto piu' potente di quanto non sia in effetti. Sinora il finanziere ti ha detto "se il governo non fa come dico io, allora ritiro gli investimenti e il tuo paese fara' la fame". Davvero? Dimentichiamo pero' che se il tuo "investimento" consiste nella costruzione di una ferrovia, per dire, tu non ritiri proprio nulla. E anche se non fosse un investimento materiale, non e' che hai investito nel mio paese per farmi un favore: hai investito perche' ci guadagnavi, e se adesso non ci guadagnerai piu', ai tuoi azionisti non piacera'. Morale della storia: persino stati relativamente piccoli quali il Dubai o l' Islanda possono sfidare la finanza, che quando lo stato alza la voce si presenta a coda bassa per trattare. Faccio presente che la somma dei debiti islandesi e' circa 11 volte il PIL, cioe' hanno un debito pubblico del 1100% del PIL. In passato, l' FMI ha prestato un sacco di soldi all'Islanda, quasi 6 miliardi di euro, tramite le banche socie di Giappone e di alcuni stati scandinavi. Il problema e' che questo referendum forse mettera' l'islanda fuori dall' FMI, con il risultato che giapponesi e scandinavi rimarranno senza garanzie.(1) Morale della storia: la finanza e' debole, e si piega molto piu' facilmente di quanto si creda, perche' in fondo lavora su convenzioni e leggi, che i governi sono chiamati a far rispettare. Se non vengono rispettati, semplicemente i finanzieri si presentano col cappello in mano a trattare. Per cui, direi che se qualcuno vuole formare un comitato che raccolga firme per il default, puo' iniziare a rimboccarsi le maniche. E no, non aspettatevi roba del genere da gente come Grillo, sanno solo fare ammuina. Autore: Uriel Fonte: www.wolfstep.cc Link: http://www.wolfstep.cc/2010/03/un-refer ... .html#more (1) Cosi' imparano. Il prestito nacque perche' i russi avanzarono l'offerta di un prestito da 4 miliardi di euro, potendo cosi' espanedere l'area di influenza. L' FMI si mosse facendo una controferta da 6 miliardi di euro, provenienti dalla banca centrale giapponese e da quelle scandinave. |
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Islanda un paese che vuole punire i banchieri responsabili della crisi Dal 2008 la gran maggioranza della popolazione occidentale sogna di dire 'no' alle banche, ma nessuno ha osato farlo. Nessuno eccetto gli islandesi, che hanno fatto una rivoluzione pacifica che non solo e' riuscita a rovesciare un governo e abbozzare una nuova costituzione, ma cerca anche di incarcerare i responsabili della de'bacle economica del paese. La scorsa settimana a Londra e Reykjavik sono state arrestate 9 persone per la loro presunta responsabilita' nel crollo finanziario dell'Islanda del 2008, una crisi profonda che si e' sviluppata in una reazione pubblica senza precedenti che sta cambiando la direzione del paese. u stata una rivoluzione senz'armi in Islanda, paese che ospita la piu' antica democrazia al mondo (dal 930), e i cui cittadini sono riusciti a effettuare il cambiamento solo facendo dimostrazioni e sbattendo pentole e tegami. Perche' gli altri paesi d'Occidente non ne hanno neppur sentito parlare? La pressione dei cittadini islandesi e' riuscita non solo a far cadere un governo, ma anche a iniziare la stesura di una nuova costituzione (in corso), e sta cercando di incarcerare i banchieri responsabili della crisi finanziaria del paese. Come dice il proverbio, chiedendo le cose con garbo, e' molto piu' facile ottenerle. Questo tranquillo processo rivoluzionario ha le sue origini nel 2008 quando il governo islandese decise di nazionalizzare le tre maggiori banche, Landsbanki, Kaupthing e Glitnir, i cui clienti erano principalmente britannici, e nord- e sud-americani. Dopo la presa in carico da parte statale, la moneta ufficiale (krona) precipito' e la borsa valori sospese l' attivita' dopo un crollo del 76%. L'Islanda stava andando in bancarotta e per salvare la situazione, il Fondo Monetario Internazionale inietto' 2.100 milioni di dollari USA e i paesi Nordici contribuirono con altri 2.500 milioni. Grandi piccole vittorie di gente comune Mentre le banche e le autorita' locali ed estere stavano disperatamente cercando soluzioni economiche, gli islandesi si sono riversati in strada e le loro persistenti dimostrazioni quotidiane davanti al parlamento a Reykjavik hanno provocato le dimissioni del primo ministro conservatore Geir H. Haarde e del suo intero gabinetto. I cittadini esigevano inoltre di convocare elezioni anticipate, e ci sono riusciti: in aprile e' stato eletto un governo di coalizione formato dall'Alleanza Social-democratica e dal Movimento Verde di Sinistra, capeggiato dalla nuova prima ministra Ju³hanna Siguru°ardu³ttir. Per tutto il 2009 l'economia islandese continuo' a essere in situazione precaria (alla fine dell'anno il PIL era calato del 7%) ma ciononostante il parlamento propose di rifondere il debito alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi con un esborso di 3.500 milioni di euro, somma da pagarsi ogni mese da parte delle famiglie islandesi per 15 anni all'interesse del 5.5%. La decisione riaccese la rabbia negli islandesi, che tornarono in strada esigendo che, almeno, tale scelta fosse sottoposta a referendum. Altra piccola vittoria per i dimostranti: nel marzo 2010 si tenne appunto tale consultazione elettorale e uno schiacciante 93% della popolazione rifiuto' di rifondere il debito, almeno a quelle condizioni. Cio' costrinse i creditori a ripensare l'operazione migliorandola con l'offerta di un tasso del 3% protratto per 37 anni. Ma anche questo non bastava. L'attuale presidente, al vedere il parlamento approvare l'accordo con un margine esiguo, ha deciso il mese scorso di non ratificarlo e di chiamare il popolo islandese alle urne per un referendum in cui avra' l'ultima parola. I banchieri scappano per la paura Tornando alla situazione tesa del 2010, quando gli islandesi si rifiutavano di pagare un debito contratto da squali finanziari senza consultazione, il governo di coalizione aveva promosso un'indagine per stabilire le responsabilita' legali della fatale crisi economica arrestando gia' parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate. Fonte: [serenoregis.org] L'Interpol frattanto aveva emesso mandato di cattura internazionale contro Sigurdur Einarsson, ex-presidente di una delle banche coinvolte. Questa situazione ha spaventato banchieri e dirigenti inducendoli a lasciare il paese in massa. In questo contesto di crisi, si e' eletta un'assemblea per redigere una nuova costituzione che rifletta le lezioni apprese nel frattempo sostituendo quella attuale, ispirata alla costituzione danese. Per far cio', anziche' chiamare esperti e politici, gli islandesi hanno deciso di rivolgersi direttamente alla gente, che dopo tutto detiene il potere sovrano sulla legge. Piu' di 500 islandesi si sono presentati come candidati a partecipare a tale esercizio di democrazia diretta e a scrivere una nuova costituzione. Ne sono stati eletti 25, senza affiliazioni partitiche, compresi avvocati, studenti, giornalisti, agricoltori e sindacalisti. Fra l'altro, questa costituzione richiedera' come nessun'altra la protezione della liberta' d'informazione e d' espressione nella cosiddetta Iniziativa per i Media Moderni Islandesi, in un progetto di legge che mira a rendere il paese un porto sicuro per il giornalismo d'indagine e per la liberta' d'informazione, dove si proteggano fonti, giornalisti e provider d'Internet che ospitino reportage di notizie. La gente, per una volta, decidera' il futuro del paese mentre banchieri e politici assistono alla trasformazione di una nazione dai margini. Fonte: http://www.elconfidencial.com TRANSCEND Media Service. Traduzione di Miky Lanza per il Centro Studi Sereno Regis Titolo originale: Iceland, a Country That Wants to Punish the Bankers Responsible for the Crisis |
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Nasce in Islanda la prima Costituzione in crowdsourcing Attraverso Facebook, Twitter, Flickr e YouTube i cittadini possono seguire i lavori di redazione della nuova carta che definisce l'ordinamento del paese, fornendo suggerimenti, consigli e critiche. LUCA CASTELLI Evidentemente, all’Islanda piace giocare d’anticipo. Dopo aver battezzato il primo parlamento della storia d’Europa, riunito nel 930 d.C. nella piana di Pingvellir, il paese nordico si appresta a veder nascere la prima Costituzione redatta con il contributo diretto dei cittadini su Internet. Il processo è in corso da alcuni mesi e dovrebbe essere finalizzato entro giugno, luglio al massimo, quando il testo passerà in parlamento per la discussione e l’approvazione (a cui seguirà un referendum popolare). Intanto, la bozza su cui stanno lavorando i venticinque membri dell’assemblea costituente viene regolarmente aggiornata e pubblicata online, con l’invito rivolto ai cittadini a inviare commenti e suggerimenti (alcuni dei quali, già assimilati all'interno del testo). Il pacchetto high tech è completo: oltre a un sito ufficiale, la nascente Carta può vantare anche gli account sui social network Facebook e Twitter, sul servizio video YouTube e su quello fotografico Flickr. I numeri non sono esattamente quelli di Lady Gaga: la pagina Facebook “piace” solo a 1488 persone, su Twitter ci sono una settantina di iscritti e il video più popolare su YouTube raggiunge a malapena le 150 views. Cifre non certo stratosferiche, che vanno comunque calibrate sulle dimensioni del paese: l’intera Islanda ha poco più di trecentomila abitanti, la metà di Genova. La nuova costituzione via crowdsourcing nasce in modo più o meno diretto dalla crisi economica che nel 2008 ha mandato quasi in bancarotta il paese, azzerando il sistema bancario e scuotendo l’opinione pubblica. Anche per ragioni simboliche, si è deciso che uno dei primi passi per riprendersi dallo sberlone della crisi sarebbe stato aggiornare il vecchio ordinamento, risalente all’indipendenza dalla Danimarca nel 1944 e mai troppo amato (in pratica era lo stesso testo precedente alla liberazione, con poche modifiche). Anche l’atmosfera di glasnost digitale (tutti gli incontri dell’assemblea costituente sono pubblici e trasmessi online) e la decisione di permettere la partecipazione diretta dei cittadini sono figli del “nuovo corso”. Dal punto di vista dell’alfabetizzazione tecnologica, l’Islanda è rapidamente diventato uno dei paesi più avanzati del mondo. Da quello dei diritti civili e del rinnovamento sociale e democratico, negli ultimi due anni è stato protagonista di numerosi sussulti, tra cui l'elezione di una premier dichiaratamente omosessuale (Jóhanna Sigurðardóttir), quella di un attore comico come sindaco della capitale Reykjavik (Jón Gnarr) e la proposta di una radicale legge per la tutela della libertà d’informazione, sponsorizzata da Wikileaks, che ha spinto diversi addetti ai lavori a indicare l’isola come un nuovo paradiso per il giornalismo d’inchiesta. |
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Il pacchetto high tech è completo: oltre a un sito ufficiale, la nascente Carta può vantare anche gli account sui social network Facebook e Twitter, sul servizio video YouTube e su quello fotografico Flickr. I numeri non sono esattamente quelli di Lady Gaga: la pagina Facebook “piace” solo a 1488 persone, su Twitter ci sono una settantina di iscritti e il video più popolare su YouTube raggiunge a malapena le 150 views. Cifre non certo stratosferiche, che vanno comunque calibrate sulle dimensioni del paese: l’intera Islanda ha poco più di trecentomila abitanti, la metà di Genova. |
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La protesta popolare in Islanda contro le banche di Pasquale Felice Molti governi , sia di destra che di sinistra , di fronte alla crisi del debito pubblico, in sede di Unione europea hanno deciso di imporre ai cittadini misure dure e severe: per questo motivo l’Unione europea non gode del favore popolare. Recentemente i ministri dei principali paesi Ue hanno reso noto che la Grecia ha bisogno di 50 miliardi di euro, in aggiunta ai 110 già concessi, per evitare il fallimento . Un anno di salvataggi , 110 milioni alla Grecia, 85 all’Irlanda e 78 al Portogallo , non è servito a niente; di fatto il debito delle banche private è stato trasferito ai governi, ricadendo quindi sulla popolazione. In un articolo apparso su “Il Riformista” del 3 maggio , il Professore di economia dell’Università di Siena S. Cesarotto faceva notare che l’Italia, già con un debito pubblico altissimo, viene costretta da Bruxelles ad indebitarsi per altri 125 miliardi, da versare al cosiddetto Meccanismo di Stabilizzazione Europeo (ESM), “chiamata a pagare per responsabilità che non ha” soltanto perché questo “meccanismo” serve a salvare le banche inglesi, francesi e tedesche esposte con i Paesi di Grecia, Irlanda, Portogallo e Spagna (PIGS). In Europa appare sempre più evidente la frattura tra gli Stati membri e la crisi economica minaccia di renderla una vera e propria rottura. Nei vari paesi i movimenti politici “nazionalisti” stanno prendendo il sopravvento mentre alcune economie nazionali sono strangolate dalla politiche predatorie, finanziarie/bancarie, che minacciano di fare uscire dall’euro alcuni paesi o addirittura di spingere altri a lasciare l’Unione europea. Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna sono stretti nella morsa di misure impopolari imposte dall’Unione europea e dal Fondo Monetario Internazionale: la riduzione del personale nella pubblica amministrazione, l’aumento dell’età pensionabile, la riduzione delle pensioni e dei salari, i tagli allo stato sociale, ecc… Anche in Gran Bretagna le misure per la riduzione della spesa realizzate dal governo hanno visto importanti proteste di studenti e lavoratori. I movimenti popolari di molti Paesi stanno addirittura considerando l’opportunità di non pagare le banche, di smantellare il sistema dei derivati e delle cartolarizzazioni come primo passo per ri-nazionalizzare i servizi fondamentali e le altre imprese che erano di proprietà dello Stato, impedendo così alle banche e alla grande finanza di “spartirsi il bottino”. Infatti, la “rapina” delle risorse naturali, sociali, culturali, economiche e finanziarie, sottratte alle giurisdizioni nazionali e affidate al cosiddetto “mercato”, continua ad essere portata avanti: in ogni crisi c’è un profitto da arraffare e aziende di Stato da privatizzare. Pochi ne parlano ma da circa due anni in Islanda è in corso una “rivoluzione” popolare che ha imposto al governo in carica di dimettersi in blocco, che ha fatto nazionalizzare le principali banche del Paese, decidendo altresì di non pagare i debiti contratti con le principali banche della Gran Bretagna e dell’Olanda, a causa della loro “vampiresca” politica finanziaria. In sostanza, con le proteste e le grida in piazza contro il potere politico-finanziario neoliberista, che ha condotto il Paese ad una grave crisi finanziaria, non solo hanno fatto cadere il governo in carica ma i responsabili della crisi sono stati perseguiti penalmente, è stata eletta un’assemblea costituente per redigere una nuova costituzione, ed è stata data reale esaltazione alla libertà di stampa, di informazione e di espressione. In generale in Europa, anche in Italia, i governi di qualsiasi colore politico vorrebbero farci credere che supereranno la crisi economica attraverso nuove privatizzazioni, socializzando le perdite, compiendo tagli allo stato sociale e allargando la precarietà del lavoro. Nella piccola Islanda, nella “civile” Europa, un Paese occidentale, tutto un popolo – certo, è vero, soltanto di 300.000 abitanti e con una situazione di organizzazione amministrativa ed economica meno complessa di quella degli altri grandi Paesi europei – sta praticando e tracciando una strada alternativa per uscire dalla crisi economica e finanziaria. Qui di seguito illustriamo in breve i fatti islandesi (fonte: controlacrisi.org). Alla fine del 2008 gli effetti della crisi nell’economia islandese erano devastanti: in ottobre Landsbanki, la banca principale del Paese, fu nazionalizzata; il governo britannico congelò tutti i beni della sua filiale IceSave, con 3.000.000 di clienti britannici e 910 milioni di euro investiti dagli enti locali e dalle organizzazioni pubbliche del Regno Unito. Alla Landsbanki fecero seguito le altre due banche principali, la Kaupthing e il Glitnir; i loro clienti erano soprattutto in Olanda, clienti ai quali dovevano essere rimborsati circa 3.700 milioni di euro. Insomma, l’insieme dei debiti per le attività delle banche islandesi equivalevano a varie volte il PIL nazionale dell’Islanda! La valuta sprofondò ed il mercato azionario sospese le attività dopo un crollo del 76%: il Paese era alla bancarotta! A quel punto il governo chiese ufficialmente aiuto al FMI che approvò un prestito di 2.100 milioni di dollari, seguito da altri 2.500 milioni da parte di alcuni paesi nordici. Intanto, le proteste dei cittadini davanti al Parlamento a Reykjavik aumentavano. Il 23 gennaio 2009 furono convocate le elezioni anticipate e tre giorni dopo i cittadini erano di nuovo in piazza in migliaia e imposero le dimissioni del Primo ministro e di tutto il suo governo in blocco: fu il primo governo vittima della crisi finanziaria mondiale. Il 25 aprile 2009 si svolsero le elezioni generali ma la situazione economica rimaneva drammatica con un crollo del PIL del 7%. Una legge discussa in Parlamento stabiliva il saldo dei debiti in Gran Bretagna e Olanda, 3.500 milioni di euro che tutte le famiglie islandesi avrebbero dovuto pagare attraverso una tassazione del 5,5% per i successivi 15 anni. Per questo motivo gli islandesi tornarono a dimostrare per le strade, rivendicando un referendum popolare che impedisse la promulgazione della legge. Nel gennaio 2010, il Presidente della repubblica, di fronte alle proteste popolari, rifiutò di ratificare la legge e indisse la consultazione popolare: in marzo, con un esito negativo del referendum, il 93% degli islandesi disse NO al pagamento del debito. La “rivoluzione” islandese trionfò, il FMI si affrettò così a congelare l’aiuto economico all’Islanda, nella speranza di imporre in questo modo il pagamento dei debiti. A questo punto il governo islandese aprì un’inchiesta per individuare e perseguire penalmente i responsabili della crisi: arrivarono i primi mandati di cattura e gli arresti per banchieri e top-manager; l’Interpol emanò un mandato di arresto internazionale contro l’ex presidente della banca Kaupthing. In seguito nel pieno della crisi, nel novembre 2010, venne eletta un’assemblea costituente per preparare una nuova costituzione che, sulla base della lezione della crisi, sostituisse quella in vigore. Tra le 522 candidature popolari, per le quali era necessario soltanto la maggiore età ed il supporto sottoscritto di almeno 30 cittadini, furono eletti 25 cittadini, senza alcun collegamento politico. L’assemblea ha avviato i suoi lavori nel febbraio del 2011 e presenterà a breve un progetto costituzionale sulla base delle raccomandazioni deliberate dalle diverse assemblee che si stanno svolgendo in tutto il Paese; tale progetto costituzionale dovrà poi essere approvato dall’attuale Parlamento e da quello che sarà eletto alle prossime elezioni legislative. Inoltre, l’altro strumento “rivoluzionario” sul quale stanno lavorando è “Icelandic Modern Media Initiative”, un progetto finalizzato alla costruzione di una cornice legale per la protezione della libertà di informazione e di espressione. Pertanto, mentre nell’Europa continentale i vari Paesi vittime della crisi del debito moltiplicano impopolari piani di austerity, l’Islanda, che ha scelto di lasciar fallire le banche, si rimette lentamente in carreggiata con provvedimenti di risparmio senza “forzare troppo la mano”, un ricorso all’austerity meno rigoroso che altrove. Ovunque le famiglie indebitate sono ancora ben lontane dal riprendere fiato; coloro che avevano contratto mutui in valuta estera sono ancora nei guai, i consumi arrancano e restano tutt’ora al 20% in meno rispetto ai livelli precedenti la crisi. Il tasso di disoccupazione è ora sceso al 7%, dopo aver toccato la quota del 9,7%. Nel frattempo, ancora una volta, i cittadini islandesi hanno espresso la loro contrarietà sull’accordo sul rimborso di circa 4 milioni di euro chiesto dalla Gran Bretagna e Olanda in seguito al fallimento della banca islandese Icesave: al referendum del 9 aprile 2011 il 60% della popolazione ha votato nuovamente contro una legge che avrebbe costretto la popolazione stessa a pagare per ripianare i debiti delle banche private. In una dichiarazione ufficiale il Presidente islandese Olafur Ragner Grimsson ha affermato: “Il popolo ora si è pronunciato chiaramente su questo tema in due occasioni, in conformità con la tradizione democratica che esprime il contributo europeo più importante alla storia mondiale. I leaders di altri stati e di istituzioni internazionali dovranno rispettare questa espressione della volontà nazionale. Le soluzioni alle dispute emerse dalla crisi finanziaria e dai fallimenti bancari devono prendere atto dei principi democratici che sono le fondamenta della struttura costituzionale dell’occidente”, sottolineando che i due “referendum sul tema Icesave hanno permesso alla nazione di riguadagnare la sua fiducia nella democrazia e di esprimere l’autorità sovrana nei propri affari e così determinarne lo sbocco su questioni difficili. Questa è un’esperienza valida su cui costruire il futuro”. Mica scemi gli islandesi!!! La crisi l’hanno fatta le banche ed è giusto che risolvano i conti tra loro! Da notare che il Paese, dopo il crollo delle banche, ha potuto meglio sviluppare le proprie risorse, in particolare nei settori dell’energia, dell’estrazione mineraria e della pesca. Tutto ciò mentre nella stessa Europa, l’Unione europea impone a Paesi come Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna … Italia (PIIGS?!?!), programmi di brutali austerità e sacrifici per molti decenni a venire in cambio di prestiti di salvataggio. Dall’Islanda giunge, invece, un messaggio ed una lezione per tutti i popoli d’Europa. |
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L’alternativa all’austerity greca: l’Islanda Ieri mi è arrivata una mail da un caro amico che ho conosciuto in un’assemblea sulla decrescita… raccontava di un evento eccezionale, specialmente se inquadrato nel periodo storico che stiamo vivendo: l’alternativa pratica alle scelte del governo greco di far pagare ai cittadini e alle fasce più deboli le colpe dei grandi della finanza e della politica. Cioè la rivoluzione islandese. Ma è possibile che la televisione non ne abbia mai parlato? I giornali? Fatevi la vostra opinione. Cara Federica, God bless Iceland (Dio benedica l’Islanda) è sia un augurio, sia un documentario, girato per mostrare la reazione indignata del popolo islandese di fronte alla bancarotta del proprio Paese. L’Islanda non è abituata certo a vedere i propri cittadini “infuocarsi”, così tutti sono stati colti di sorpresa dalle pacifiche proteste di piazza a Reykjavìk che hanno avuto gli effetti eclatanti di far dimettere il governo al completo, e di far nazionalizzare le principali banche commerciali, rifiutando il pagamento di un debito ingiusto. In questo momento in Islanda stanno avvenendo cambiamenti e decisioni straordinarie e io mi domando come mai non se ne sappia nulla, se non tramite filmati dalla scarsa distribuzione al pubblico o attraverso Internet. Perché i mass media non se ne occupano? E’ scarsa attenzione o censura per l’argomento? Forse non è interessante sapere che dopo il crac finanziario è stato indetto un referendum popolare dove il 93% ha deciso di non pagare i debiti delle banche? A differenza di tutti gli altri Paesi del mondo, l’Islanda ha detto “No!”. E chi paga? La risposta è ovvia: chi ha fatto danni! Così sono stati emessi mandati di cattura internazionali per i banchieri ritenuti responsabili della débâcle economico-finanziaria, secondo giustizia. Non è finita qui: tenendo conto degli errori compiuti, ma proiettata verso il futuro, l’Islanda dà prova di essere un laboratorio di democrazia e infatti in questi giorni social networks come Facebook o Twitter vengono utilizzati dai cittadini per proporre idee e dare opinioni al progetto di una nuova Costituzione, ottenendo così anche l’effetto “collaterale” di avere degli abitanti partecipi alla vita politica del proprio Paese. Questo processo, che unisce le potenzialità della Rete con la partecipazione di una cittadinanza attiva prende il nome di crowdsourcing: «Credo che questa sia la prima volta in cui una Costituzione viene abbozzata principalmente su Internet», ha riferito Thorvaldur Gylfason, membro del consiglio per la Costituzionale islandese, l’organo collegiale che ha un sito web aggiornato ogni settimana così che tutti possano vedere i progressi del nuovo documento con un click. Il crowdsourcing va oltre i referendum: dà vita a un percorso che coinvolge tutta la popolazione, fin dal principio, per un progetto di legge che, a tutt’ora, include controlli e responsabilizzazione per il Parlamento e l’introduzione di una più netta separazione dei poteri per prevenire il ripetersi della crisi finanziaria, oltre a cambiamenti significativi riguardanti le elezioni dei parlamentari e le nomine dei giudici. Gli islandesi hanno dato una lezione di democrazia e di sovranità popolare e monetaria a tutto l’Occidente, opponendosi pacificamente ed esaltando il potere della società civile e del diritto di cittadinanza di fronte agli occhi indifferenti del mondo. Di tutto questo in Italia non se ne parla, ma per una volta mi piacerebbe vedere in tv, sentire alla radio o leggere sui nostri giornali di storie avventurose e coraggiose come quelle dell’Islanda, per apprendere che non di sole storie si tratta, ma di vere e proprie notizie, di fatti quotidiani. Alessio Fabrizi |
:: Se lo facessimo in italia, cosa che auspico da sempre, e annunciassimo che il governo NON paghera' il debito pubblico, non succederebbe quanto accaduto in Argentina (ove la crisi che e' seguita e' stata dovuta ad ALTRI fattori e il default e' stato semmai una conseguenza) , succederebbe esattamente la stessa cosa: i contraenti del debito si presenterebbero a roma a cercare un accordo , e probabilmente ci troveremmo a restituire si e no il 20% dei soldi, solo avendo un governo che faccia la voce dura, o che non abbia scelta (Solo il 13% e' allocato ai cittadini. Il resto sono banche. Piu' del 50% e' all'estero).
Lo strumento del referendum, in effetti, e' micidiale. Il debito pubblico in se', non essendo materia fiscale, non e' compreso nella norma costituzionale che vieta referendum sulla politica fiscale. Cosi' , e' possibile anche in Italia organizzare un referendum che proponga al governo di NON pagare il debito pubblico. Una volta fatto il referendum, comunque lo gestisca il governo, il debito pubblico e' esaurito.
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La Cina ci comprerà? Un miliardario cinese offre più di 6 milioni di euro per 400 kmq di Islanda. Un primo passo verso una compravendita dell'Occidente? E’ il 16esimo uomo più ricco della Cina, si chiama Huang Nub, ed il suo desiderio è… comprare una parte dell’ Islanda! L’offerta, che equivale a ben 6,1 milioni di euro è davvero insolita ed il governo islandese è già partito con il compromesso. Si tratta di un' area di più di 400 kmq nella regione di Fjöllum, dove Huang è pronto ad investire altri Venti milioni di Euro per finanziare la realizzazione di ben due Parchi Nazionali. Ma c'è da più. Huang vorrebbe anche creare un eco-resort di lusso, con un hotel che ispira gli amanti della natura a stare all’interno di ambienti “wilde”, dove sorgerebbero anche ville e un campo da golf iper attrezzato. Un’offerta che quasi spaventa, per bellezza e magnanimità. Ma cosa c'è dietro a tutto questo? La Cina comprerebbe quindi una parte dell’Islanda. Con un semplice sillogismo la Cina comprerebbe così una piccola parte dell'Occidente. Inizialmente il Governo islandese sembrava averla presa bene, trattandosi di una compravendita che andava ad incrementare il turismo. Non c’è che dire, è segno che sempre più occorre lasciare da parte i vecchi modelli di "concetto -mondo", superare la fine dell'era globale intesa come in un tempo ormai decaduto e comprendere che l'antico modello Oriente- Occidente si è ribaltato tout-court. Siamo pronti per tutto questo? Molti ci hanno visto un primo passo per una manovra strategica più grande. Questo non è dato dirlo, non per ora almeno. Una firma per il compromesso è già stata fatta, e chi direbbe "No" a Huang Nubo, proprietario del gruppo Zhongkun, che ha coperto in passato incarichi al Ministero della Costruzione cinese e al dipartimento centrale della Propaganda? Non passi inosservata la posizione strategica dell’Islanda : si trova infatti tra l' Europa ed il Nord America. Un potenziale hub per il commercio globale. L'Oriente dunque, con le sue proposte ed i suoi magnati incalza, questo è il vero dato di fatto. Il secondo step è quello dell'accettazione e il terzo potrebbe essere la considerazione della positività dell'evento, considerando l'attuale situazione dell'Occidente. |
> | In galera i banchieri: così l’Islanda esce dalla crisi Post di francescadorothy data: dicembre - 9 - 2011 Roma – L’ultima notizia che arriva dalla fredda Islanda riguarda i banchieri che nel 2008 hanno contribuito a far precipitare la situazione finanziaria del Paese: nove alti funzionari di banca ritenuti responsabili del crack di tre anni fa sono finiti dietro le sbarre. Come se non bastasse, dopo i lavori della Commissione istituita nel 2010 proprio per indagare al riguardo, il procuratore speciale Olafur Thor Hauksson ha ordinato una serie di perquisizioni presso le maggiori istituzioni bancarie islandesi, tra cui la Banca centrale, la Mp Bank e la Almc Bank, controlli che lasciano presagire una nuova serie di arresti nelle alte sfere della finanza. Cosa significa questo? Che contrariamente a quanto avviene nel resto del mondo – un esempio per tutti sono gli Stati Uniti dove Goldman Sachs continua indisturbata a fare il bello e il cattivo tempo influenzando i mercati finanziari di tutto il mondo – in Islanda non si sono limitati ad attribuire colpe e responsabilità, ma hanno scelto di far pagare la crisi a chi l’ha provocata, senza far gravare i costi sulle spalle dei cittadini. I risultati della silenziosa rivoluzione in Islanda sono tangibili: il popolo, attraverso un referendum, ha vietato allo Stato di farsi carico dei debiti contratti dalle banche a causa dei banchieri speculatori, definendo il debito detestabile – cioè un debito contratto dallo Stato che non porta al popolo nessun vantaggio, ma solo penalità – e quindi non esigibile. Assorbiti dalla riscrittura della Costituzione con un metodo orizzontale e partecipativo, gli islandesi hanno indirettamente deciso di liberarsi dall’ingerenza del Fondo monetario internazionale: dopo la sesta revisione dell’economia islandese il Fondo ha deciso di cessare qualsiasi tipo di intervento – dal più invasivo al più blando – nel Paese. Gli islandesi sono tutt’altro che disperati dopo la decisione del Fondo: il capo del Governo Johanna Sigurðardóttir, il ministro delle Finanze Steingrimur J. Sigfusson e il ministro dell’Economia e del Commercio Arni Pall Arnason hanno parlato di una nuova stabilità economica e monetaria che l’Islanda riuscirà a ristabilire in breve tempo. Nessun flusso di aiuti dal Fondo monetario internazionale o dalla Banca centrale europea – il primo, oltretutto, tentò di accollare ai cittadini non solo il debito contratto dalle banche, ma anche un tasso di interesse del 5,5%, 3 mila e cinquecento milioni di euro da ripagare in quindici anni – l’Islanda ha eliminato il problema alla radice, liberandosi dalla politica economica monetarista tipica dell’Occidente e rifiutando di pagare per le colpe degli altri. Perché allora nessuno parla della rivoluzione islandese? Per un motivo molto semplice, la democrazia diretta e quella che potremo definite “autodeterminazione finanziaria” islandese mettono in crisi un sistema che governa e regola tutto il mondo, quello delle grandi banche. Passata dalla privatizzazione – nel 2003 tutti gli istituti bancari del Paese erano privati, con il conseguente enorme flusso di capitali stranieri – alla nazionalizzazione e poi alla bancarotta, da un governo monetarista a uno democratico e finanziariamente “autarchico”, l’Islanda ha trovato la strada per uscire dalla crisi. Mentre gli islandesi aspettano che la nuova Costituzione passi al vaglio del Parlamento e ristabiliscono la propria situazione finanziaria senza intaccare i propri risparmi, il resto del mondo aspetta immobile che cali la scure delle grandi banche, incapace di reagire. Forse, dicono alcuni, in Islanda ci sono riusciti a causa dell’esiguo numero di abitanti. Forse, rispondono altri, in Islanda ci sono riusciti perché ci hanno provato. http://www.wakeupnews.eu/islanda-in-gal ... lla-crisi/ |
> | Fitch premia Islanda, rating torna alla 'decenza' di: WSI Pubblicato il 17 febbraio 2012| Ora 17:08 Roma - L'agenzia di rating Fitch ha rivisto al rialzo il rating sul debito sovrano dell'Islanda da "BBB-" a "BB+", facendo tornare il giudizio al livello di investment grade per la prima volta dalla crisi finanziaria. "E' in atto una ripresa economica promettente, la ristrutturazione del settore finanziario va avanti, mentre il rapporto debito/Pil sembra essere vicino ad aver testato il massimo, sulla scia di un processo robusto di consolidamento fiscale". |
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L’Islanda cambia moneta: “Vogliamo entrare nell’euro” ROMA – L'Islanda e' pronta ad abbandonare la propria moneta, la corona, e puo' scegliere tra l'ingresso nell'euro o l'adozione ''unilaterale'' di un'altra valuta. Lo ha detto il primo ministro islandese Johanna Sigurdardottir convinta che ''la situazione non puo' rimanere cosi' com'e'''. ''La scelta e' tra cedere la sovranita' dell'Islanda in politica monetaria adottando unilateralmente la valuta di un altro Paese o diventare partner dell'Unione europea'', ha spiegato il premier islandese ad una convention di partito a Reykjavik, secondo quanto riferisce Bloomberg. Come membro dell'Ue – ha aggiunto – l'Islanda ''potra' cooperare con i partner europei come nazione sovrana che ha diritto di parola nelle decisioni politiche''. Il paese artico – tra le prime vittime della crisi finanziaria del 2008 e uscito dalla bancarotta grazie anche agli aiuti del Fondo monetario internazionale – ha avviato fin da luglio 2010 i colloqui per l'ingresso nell'Ue e all'inizio del 2013 dovrebbe tenersi un referendum, ma per Sigurdardottir, Reykjavik potrebbe fissare il tasso di cambio tra corona ed euro e mettersi sotto l'ombrello Bce ''gia' entro meta' legislatura prima delle prossime elezioni del 2015. |
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THE ECONOMIST L’Islanda vuole cambiare moneta, ma potrebbe non scegliere l’euro I ricordi della bancarotta del 2007 devono essere ancora vivi, se il 70% degli islandesi sarebbe felice di abbandonare la corona (króna) in favore di una valuta più stabile. Per l’isola ai margini d’Europa la scelta non è scontata: c’è chi propone di adottare il dollaro canadese e saldare così un’alleanza artica. 9 marzo 2012 |
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L’Islanda non vuole l’euro 12 mar, 12 di Redazione L’Islanda da tempo ha già avviato le trattative per diventare parte dell’Eurozona ma dopo la crisi economica la moneta unica del Vecchio Continente ha perso il suo appeal e l’Islanda sembra voler approdare sull’altra sponda. Ecco cosa c’è in cantiere. L’Islanda, si vocifera, vuole ormai abbandonare la sua moneta nazionale per “consorziarsi” con qualcuno, peccato che l’Europa non sia più l’unico obiettivo nel mirino. Il governo islandese ha detto sì di voler lasciare a piedi la krona, ma di non voler adottare più l’euro. Piuttosto si pensa di andare verso il dollaro canadese. A fare pressione in questo senso sono gli industriali islandesi che vogliono il loonie e non l’euro tanto da aver già incontrato dei diplomatici canadesi per affrontare l’argomento. A promuovere questo progetto c’è soprattutto il Partito progressista islandese. A livello storico l’Islanda ha attraversato una crisi economica molto intensa nel biennio 2008-2009 ma diversamente rispetto al resto d’Europa, ha dovuto sopportare il fallimento di molte banche. Per questo all’epoca si era deciso di dimezzare il valore della moneta islandese. Una scelta premiata dall’incremento degli investimenti, import ed export. Adesso lo stato islandese si sente pronto al grande passo verso una moneta unica: l’euro è sempre il pole position ma sarà necessario accelerare le trattative per concludere prima dell’inserimento dei canadesi nell’affare. |
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